È tempo di parlarne.
La discussione sulla cura alle persone che vivono in strutture di assistenza a lungo termine non può più essere ignorata, né rinviata ad un altro giorno. Sentiamo da molto tempo le esperienze negative dei residenti nell'assistenza a lungo termine, e le preoccupazioni per il posto di lavoro degli operatori che vi lavorano, ma l'attuale pandemia ha amplificato quelle voci. E il loro messaggio sta risuonando.
Si riconosce ora da molti che abbiamo alterato il sistema di assistenza da lungo termine, in molti modi, che influenzano sia gli ospiti che il personale. Abbiamo accettato che fossero ignorati i nostri residenti anziani e coloro che si occupano di loro e li abbiamo relegati in una posizione meno che [dignitosa]. In qualche modo, la volontà di chiudere un occhio sulle esigenze dei residenti nelle strutture a lungo termine e su molti lavoratori era persa nella confusione della vita prima della pandemia.
Questo era facile da fare perché i residenti erano anziani, e molti avevano l'Alzheimer o altre demenze. La loro identità sembrava essere persa, come i nostri genitori, i nostri fratelli, i vicini e gli amici cari.
Quando il sistema di assistenza a lungo termine sarà rivoluzionato dopo la pandemia, come sicuramente dovrà essere, abbiamo bisogno di imparare dalle persone che vivono e lavorano lì, comprese le persone con demenza. Abbiamo bisogno di una assistenza centrata sulla persona.
Dopo l'ictus debilitante di mio padre, nel 1989, la sua residenza a tempo pieno è diventata una casa di cura. Era un tempo in cui si usavano più liberamente i vincoli, quando il processo sembrava avere la priorità sulla cura focalizzata sulla persona. Oggi, 31 anni dopo, rimangono alcune delle stesse questioni di preoccupazione.
Dalla ricerca nel corso degli anni abbiamo imparato molto dell'assistenza focalizzata sugli ospiti e come fornire una cura buona e adeguata alla demenza. Si è riconosciuto che le restrizioni producono effetti negativi, soprattutto per le persone con demenza. E la ricerca ha dimostrato che la tecnologia, con i molti progressi, offre opportunità positive per i residenti e pure per il personale.
In effetti abbiamo visto esempi di iPad e tablet favorire la comunicazione tra i residenti e la famiglia e gli amici in questo periodo di isolamento. Possono anche essere un'esperienza positiva per i residenti per ascoltare musica, ad esempio. Anche se questa è una grande notizia, iPad e tablet non sono la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi di assistenza e di coinvolgimento.
Cosa succede nei tanti momenti prima e dopo quelle interazioni felici con iPad o tablet? Gli ospiti tornano a sedersi da soli in silenzio senza alcun altro stimolo? Il personale è concentrato sui residenti e le loro esigenze o la loro attenzione è sulle faccende amministrative?
Anche mia madre, che aveva il morbo di Alzheimer, è entrata nell'assistenza a lungo termine. Quando la andavo a trovare, vedevo molti degli ospiti seduti pigramente davanti alla televisione con niente da fare. Giorno dopo giorno.
Potevi percepire che alcuni ospiti sarebbero stati felici di fare qualcosa, qualsiasi cosa. Una breve camminata, forse? Una breve conversazione, ma faccia a faccia con il loro aiutante di cura? Al contrario, non c'era nulla tra il pasto e la successiva pausa caffè al mattino e al pomeriggio, se non noia e solitudine.
Alcuni di questi ospiti sono arrivati all'assistenza a lungo termine da casa, dove facevano cose come pulire il pavimento e lavare i piatti. La mia domanda, allora, è: perché entrare nell'assistenza a lungo termine comporta l'interruzione di quelle attività? Se un residente volesse pulire il pavimento, per esempio, perché non lasciarlo fare? Date loro uno scopo, una ragione d'essere.
Pensiero creativo e un po' di pazienza, mi sembra, sarebbero tutto quello che serve per fornire qualità di vita ai nostri ospiti nell'assistenza a lungo termine. Questo deve essere parte della nuova visione per le case di cura dopo la pandemia.
Ora vivo con la demenza.
È troppo facile per gli altri categorizzare gli anziani, le persone con demenza e altri con malattie croniche, come un grande gruppo di persone da ignorare o denigrare. Come il rapporto durante la pandemia di “quattro morti nell'assistenza a lungo termine”. Con un approccio centrato sulla persona, il rapporto avrebbe almeno notato che quattro persone erano morte.
Il dott. Jonathan Evans, geriatra, ha osservato che “la demenza non ti toglie la capacità di essere un umano, la tua umanità ... la demenza non ti rende stupido. La demenza non ti ruba la tua capacità di provare gioia, di essere felice”.
Il momento di cambiare il modello di cura perché sia centrata sull'ospite, con operatori di assistenza a lungo termine riconosciuti per le sue competenze e capacità, è ora. So che possiamo fare meglio.
È tempo di parlarne. E di agire.
Fonte: Jim Mann in Cornwall Standard Freeholder (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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