La Food and Drug Administration (FDA) ha recentemente approvato l'aducanumab, il primo trattamento che mira a rallentare la progressione del morbo di Alzheimer (MA). Ma l'approvazione del farmaco ha provocato reazioni miste dalla comunità scientifica.
Il MA è caratterizzato da una perdita progressiva della memoria, da disorientamento spaziale e da molti altri disturbi cognitivi e comportamentali che alla fine portano a uno stato di totale dipendenza.
Come ricercatori che studiano i biomarcatori di MA (valori biologici oggettivi usati per identificare la malattia, valutarne la progressione e determinare l'efficacia dei trattamenti), siamo molto interessati alla scoperta di nuovi trattamenti per questa malattia.
L'aducanumab, che sarà commercializzato sotto il nome Aduhelm, è stato sviluppato congiuntamente da Biogen ed Eisai. È un anticorpo monoclonale somministrato via iniezione che si lega agli aggregati cerebrali di amiloide e consente al nostro corpo di smaltirli. Il trattamento si basa sull'idea che l'amiloide, una piccola proteina che si accumula nel cervello di persone con MA, sia all'origine di una cascata di eventi che conduce alla malattia.
Risultati discutibili
L'approvazione della FDA si basa su due studi clinici di 18 mesi condotti sull'aducanumab. Uno ha mostrato un rallentamento della progressione del deterioraemnto cognitivo di circa il 22% nelle persone che hanno ricevuto il trattamento ad alte dosi. L'altro non ha mostrato alcuna differenza tra coloro che hanno ricevuto l'aducanumab e quelli che avevano ricevuto un placebo.
Di solito, le autorità di regolamentazione richiedono due esperimenti di fase 3 con risultati positivi per approvare un farmaco. Biogen ed Eisai hanno interrotto entrambi gli esperimenti dopo che un gruppo di esperti indipendenti ha concluso che, sulla base dei risultati preliminari, era improbabile che fosse efficace a rallentare il declino cognitivo della malattia, nonostante abbia mostrato un'efficacia nel ridurre i livelli di amiloide del cervello.
Inoltre, l'aducanumab è stato associato ad edema cerebrale nel 40% di quelli trattati. L'edema è una massa fluida che produce pressione nel cranio e richiede un monitoraggio medico o un intervento chirurgico.
Dopo una ulteriore revisione dei risultati dei due studi clinici, Biogen ed Eisai hanno annunciato in ottobre 2019 che l'aducanumab somministrato in dosi elevate ha mostrato un'efficacia sui sintomi cognitivi dei pazienti con MA iniziale. Questo modo di analizzare i risultati è stato fortemente criticato dalla comunità scientifica, compresi alcuni dei ricercatori che hanno partecipato alle sperimentazioni cliniche.
L'amiloide potrebbe avere poca influenza
La cascata amiloide, l'idea alla base del funzionamento dell'aducanumab, è oggetto di grandi controversie nella comunità scientifica. Questa ipotesi ha dominato per quasi 30 anni e ha guidato la ricerca di trattamenti che mirano a rimuovere l'amiloide dal cervello. Eppure ogni sperimentazione clinica che ha usato questo approccio è fallita, rappresentando dozzine di prodotti e centinaia di miliardi di dollari investiti.
Sempre più, ci rendiamo conto che i problemi del MA non possono coinvolgere l'amiloide direttamente o esclusivamente. Ad esempio, una persona che è geneticamente predisposta ad accumulare amiloide può sviluppare il MA prima, ma può non progredire più rapidamente di una persona che non è predisposta. Ciò significa che l'amiloide può avere poca influenza sulla progressione della malattia.
Anche i sostenitori dell'ipotesi amiloide sono diventati più misurati sulla sua possibile influenza, proponendo che può avere un impatto indiretto solo sulla disfunzione cerebrale nel MA. Ciò avverrebbe attraverso un processo di infiammazione cerebrale, che è una delle possibili cause della morte neuronale in questa malattia.
In breve, mentre l'ipotesi amiloide sta vacillando, l'approvazione dell'aducanumab, che si basa principalmente su questa teoria, suggerisce che la teoria può ancora una volta dominare la ricerca e potrebbe ridurre le possibilità di trovare trattamenti più promettenti. Ad esempio, la proteina tau, che si accumula anch'essa nel cervello dei pazienti di MA, molto prima della proteina amiloide, ha dimostrato di essere associata strettamente alla compromissione cognitiva derivante dalla malattia.
Un precedente rischioso
Quindi, come si può spiegare la decisione della FDA, che è contraria alla raccomandazione del proprio comitato di esperti e si basa su prove che dimostrano che l'amiloide ha un piccolo contributo alla progressione della malattia?
L'aducanumab ha ridotto la quantità di amiloide accumulata nel cervello di quasi due terzi negli individui trattati. Anche se questo è un risultato drammatico, i loro sintomi persistevano, il che significa che l'amiloide non è un buon biomarcatore della malattia.
La scoperta e la convalida dei biomarcatori affidabili per rilevare le malattie e valutare l'efficacia dei trattamenti avvengono solo dopo un processo lungo e rigoroso. L'uso dell'amiloide non è mai veramente passato attraverso questo processo, tuttavia la FDA ha approvato un trattamento in base a questo. Bypassare questo processo fissa un precedente rischioso.
Nessun trattamento curativo che puntava i sintomi di MA è emerso sin da quando sono arrivati sul mercato i primi trattamenti nel 1997. L'aducanumab è il primo trattamento approvato volto a rallentare la progressione della malattia. La sorpresa e l'eccitazione generata dal primo successo, in un viaggio che include centinaia di studi clinici falliti, possono spiegare perché la FDA ha concesso l'approvazione condizionale al farmaco.
L'approvazione soddisfa anche gli interessi finanziari di Biogen, di Eisai e dei loro investitori. Le stime più modeste mettono i ricavi annuali dalla vendita di aducanumab a oltre 50 miliardi di dollari USA. L'aspettativa di nuove entrate per Eisai e Biogen ha spinto in su i valori di borsa di queste aziende del 75% e il 40% rispettivamente il giorno in cui è stato dato l'annuncio.
Nuove evidenze raccolte dopo il lancio dell'aducanumab saranno fondamentali per il futuro dell'ipotesi amiloide e la nostra comprensione del MA. Con una malattia così complessa, è probabile che avremo bisogno di sviluppare diversi approcci per fermare la sua progressione, proprio come la terapia tripla per l'HIV-AIDS. Ecco perché non dobbiamo interrompere la ricerca sui biomarcatori e sui nuovi approcci terapeutici.
Fonte: Étienne Aumont (dottorando di psicologia) e Marc-André Bédard (prof. di farmacologia cognitiva), Università del Quebec di Montreal
Pubblicato su The Conversation (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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