Con un protocollo d’intesa Cimec dell'Università di Trento e Associazione Alzheimer Trento uniscono le forze per migliorare la vita di persone malate e familiari.
'L’unione fa la forza' non è solo un bel modo di dire. Di fronte a problemi complessi e delicati la condivisione di competenze e conoscenze è essenziale, soprattutto quando si tratta di malattie neurodegenerative legate all’invecchiamento. Nasce da questa consapevolezza il protocollo d’intesa siglato tra il Centro di Riabilitazione Neurocognitiva – Cerin del Cimec e l'Associazione Alzheimer Trento Odv, un’organizzazione no-profit impegnata a fornire supporto e assistenza ai malati e alle loro famiglie. Con questa firma ricerca e volontariato si uniscono per contribuire al progresso delle scienze e delle loro applicazioni nell’ambito dell’invecchiamento patologico.
Le malattie neurodegenerative legate all’invecchiamento rappresentano un problema sempre più rilevante in termini di sanità pubblica. Nel mondo, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre 55 milioni di persone convivono con una forma di demenza, la più diffusa e conosciuta delle quali è l'Alzheimer. E in Italia? Attualmente il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre un milione e sono circa tre milioni le persone direttamente o indirettamente coinvolte nella loro assistenza, con conseguenze anche sul piano economico e organizzativo. In Trentino le stime parlano invece di 8.000 malati e di circa 1.500 nuovi casi all’anno.
Se si pensa che il maggior fattore di rischio associato all'insorgenza delle demenze è rappresentato dall'età, è facile immaginare quale impatto avrà il fenomeno in una società che invecchia rapidamente come la nostra. Si prevede infatti che queste patologie diventeranno, in tempi brevi, uno dei problemi più rilevanti in termini di sanità pubblica. Da tempo il Cimec ha avviato uno specifico progetto di ricerca dedicato alle demenze senili ed è nell’ambito di questo progetto che si colloca la firma del protocollo d’intesa tra il Cerin e l'Associazione Alzheimer Trento.
Alessandra Dodich, docente di Psicobiologia e Psicologia fisiologica e responsabile scientifica del progetto, spiega:
"All'interno del Cimec c’è un grande interesse per le tematiche connesse all’invecchiamento patologico e alle demenze. Oltre a indagare i meccanismi che stanno alla base del declino cognitivo, ci occupiamo di definire i marcatori diagnostici e di sviluppare nuovi percorsi di prevenzione e riabilitazione, valutandone l’impatto sociale e l’effetto benefico sulla qualità della vita del paziente e dei familiari.
"È quindi molto importante il confronto con le associazioni che sostengono i malati di Alzheimer o di altre forme di decadimento cognitivo. Con questo documento abbiamo formalizzato una collaborazione che ci permetterà di lavorare su alcune linee d'azione comuni e condivise".
Gli obiettivi del protocollo d’intesa sono diversi e comprendono il reciproco scambio di competenze, lo sviluppo e la realizzazione di attività di ricerca e la valorizzazione dei risultati derivanti, la predisposizione di azioni sinergiche volte a favorire la diffusione della conoscenza delle malattie neurodegenerative dovute all’invecchiamento.
Non tutto, però, può essere formalizzato. L’arida sintassi di un documento, infatti, non restituirà mai l’entusiasmo che traspare dalle parole dei protagonisti di questo accordo.
“Collaborare con l’Associazione Alzheimer Trento è un’esperienza arricchente sotto diversi punti di vista” - precisa Alessandra Dodich. “Lo è da quello professionale, perché possiamo calare la nostra ricerca sulle esigenze delle persone e apprezzare così i risultati del nostro studio. Ma lo è soprattutto dal punto di vista umano: per chi ha scelto un lavoro come il mio l’incontro con le persone è fonte di sempre nuova motivazione”.
Non è da meno l’entusiasmo di Renzo Dori, presidente dell'Associazione Alzheimer Trento Odv:
“Ho grande fiducia nell’Università di Trento e nell’approccio metodologico adottato dal Centro di Riabilitazione neurocognitiva del Cimec. La collaborazione con l’Ateneo è il salto di qualità che la nostra associazione cercava da tempo, perché crediamo che la scienza possa dare un grande aiuto alle persone affette da Alzheimer e alle loro famiglie, soprattutto nelle prime fasi della malattia, quando è ancora possibile mettere in atto interventi non farmacologici volti a rallentare il processo di decadimento cognitivo. L’esperienza, inoltre, ci permetterà di crescere come associazione e di acquisire nuovi e più efficaci strumenti da utilizzare nella quotidianità del nostro lavoro”.
Un lavoro quanto mai utile e necessario, perché l’Alzheimer è una malattia crudele per chi ne soffre e per i familiari, progressiva, irreversibile nel suo sviluppo e onerosa per le cure. È quindi fondamentale investire nella ricerca, non solo in quella di nuovi farmaci, ma anche in terapie non farmacologiche, che possano migliorare la qualità della vita dei pazienti.
Ecco perché, tra gli obiettivi del protocollo d’intesa, c’è anche la ricerca di finanziamenti da dedicare allo studio e alle attività inerenti all’invecchiamento patologico. Il caso ha voluto che durante le fasi di stesura del documento l’associazione ricevesse un lascito vincolato al miglioramento del bene del paziente.
“Con questi soldi – prosegue Dori - potremo finanziare un progetto di lungo periodo, che avrà un riscontro immediato nella vita quotidiana dei pazienti e dei familiari”.
Fonte: Lorenza Liandru in Università di Trento
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